“ Partendo dalle mie esperienze personali come paziente donna, negli ospedali , centri sanitari etc, sia come bambina sia come donna, sia come mamma ho potuto constatare le vicissitudini vissute ma soprattutto le emozioni, le sensazioni suscitate in me da alcuni episodi. Ricordo da ragazzina la figura del mio pediatra, un uomo non molto alto né particolarmente bello dal mio mondo di bambina ma che si atteggiava come un adone. Era professionalmente molto preparato e oggi a distanza di tempo posso dire che mi ha curato con molta attenzione e dedizione. Se ad oggi sono la persona sana è anche grazie a lui e alla sua professionalità. Prima dell’avvento del SSN ,i pediatri, erano medici che lavoravano solo in strutture ospedaliere nel reparto di pediatria dove io all’epoca ero “di casa”.
Nonostante tutti gli aspetti positivi che ho citato qui sopra , nelle relazioni medico-paziente vi era una profonda lacuna: il medico era il medico ed il paziente una sorta di macchina. Nonostante i suoi sforzi, durante le visite, non riusciva in alcun modo a mettermi a mio agio, anzi ogni volta che avevo un appuntamento mi destava preoccupazione.
Avevo dodici anni quando a causa di alcuni malesseri, il mio pediatra decise di farmi sottoporre ad una visita ginecologica: Mi disse” vieni con me”, capii di cosa parlasse solo perché stavo ascoltando ciò che diceva a mia madre e senza alcuna informazione né preparazione su ciò che sarebbe avvenuto e soprattutto senza preoccuparsi se io mi fossi trovata bene al cospetto di quel ginecologo. Mi portò in una stanza adiacente adibita a studio medico poco illuminata, con una scrivania ed uno strano letto, aspettammo un po,’ poi si presenta un uomo alto, con grosse spalle, capelli brizzolati, serio in volto, il sigaro in bocca, di poche parole.
Quando mi disse di stendermi sul lettino ginecologico, presa dal panico dissi:” no grazie” fuggendo dall’ospedale per tornarmene a casa abitando poco distante. Questa è una delle esperienze che posso raccontare e con il bagaglio dei miei cinquant’anni vi assicuro che potrei scrivere un libro su una storia cosi e le sue conseguenze psicologiche.
Possiamo osservare come di fatto non sia stata apportata nessuna violenza fisica, nessuno mi ha costretto con la forza, ma allo stesso tempo possiamo sottolineare come nessuno si sia preoccupato di come mi sentissi, di cosa provassi, quale potevano essere le paure che venivano suscitate in me. Ricordo chiaramente quella sensazione di svuotamento e smarrimento provocato da una totale inconsapevolezza. Il senso di paura nell’affrontare una visita medica che non conoscevo e sentire dall’altra parte invece, che questa sensazione non era rilevante né importante; mi sentivo come un pezzo di legno nelle mani di un falegname.
Nel tempo, attraverso interviste, colloqui osservando e studiando i vissuti di donne nostre pazienti e nel tessuto sociale a noi conosciuto, in collaborazione col dott. Alessandro Trasimeni , abbiamo potuto rilevare che a distanza di anni il problema della relazione medico-paziente permane, anzi è amplificato. La giusta informazione oltre che trasmettere serenità ha anche una funzione terapeutica per la paziente.
Quali le cause all’origine di queste problematiche?
Sicuramente i tagli continui alla sanità, l’eccessiva mole di lavoro, la superficiale e di conseguenza l’insufficiente collaborazione delle pazienti , hanno contribuito ad alterare il modo di colloquiare con il malato. In particolare non si dà la giusta importanza e la giusta dedizione all’ascolto della paziente la quale attraverso l’anamnesi e la sua storia darebbe preziosi suggerimenti e spunti di riflessione per lo studio della causa che porterebbe alla diagnosi creando uno stato di empatia tra medico e paziente.
D’altro canto la responsabilità di tali timori da parte delle donne soprattutto le giovani, è attribuibile ai genitori che , come inconsapevoli educatori raramente informano i propri figli (soprattutto le bambine/ragazze) sull’importanza della prevenzione in particolar modo quella in ambito ginecologico, suscitando sentimenti di ansia e paura al momento di una visita; pensando che sia sempre troppo presto e a volte inutile, frenati da sentimenti di pudicizia nonostante corra il 21° secolo.